Ecco una domanda difficile per tutti i possessori di animali: quando il vostro cane o gatto morirà, cosa farete delle sue spoglie?
C’è chi decide di seppellire il proprio animale, chi opta per la cremazione – ma c’è anche chi non riesce mai ad uscire veramente dalla fase della negazione, e vorrebbe continuare ad avere il proprio cucciolo con sé, per sempre.
Fino a poco tempo fa l’unica altra soluzione possibile era la tassidermia: eppure gli imbalsamatori spesso non sono disposti a preparare gli animali da compagnia, e per un motivo evidente. Finché si tratta di preservare la testa di un cervo, il cliente non fa mai problemi, ma quando l’animale da impagliare è un gattino amato e conosciuto per anni, qualsiasi imperfezione nel risultato tassidermico salta subito all’occhio del padrone. Così questo tipo di clienti risulta essere difficile, se non quasi impossibile, da soddisfare.
Oggi però esiste una nuova tecnica di conservazione degli animali da compagnia che promette miracoli. Guardate l’immagine qui sotto: questo cane è morto, ed è stato liofilizzato.
Quando pensiamo alla liofilizzazione, ci vengono in mente subito alcuni alimenti ridotti in polvere, come ad esempio il caffè solubile. Il procedimento in realtà può essere applicato anche a qualsiasi sostanza organica, e consiste nell’essiccamento dei tessuti a temperature estremamente basse, alle quali vengono alternate fasi di riscaldamento in situazioni di pressione controllata, di modo che l’acqua contenuta nei tessuti passi direttamente dallo stato ghiacciato al vapore (sublimazione). In questo modo la struttura della sostanza viene intaccata il meno possibile e mantiene le proprie caratteristiche specifiche: ecco perché la liofilizzazione di un animale da compagnia dà questi risultati eccezionali.
Chiaramente i costi di un simile procedimento non sono indifferenti, e in America oscillano tra 850 e 2.500 dollari; inoltre la liofilizzazione di un animale, magari di grossa taglia, non è affatto un processo veloce, e tra liste d’attesa e tempi tecnici si può aspettare anche più di un anno prima che l’esemplare ritorni al suo padrone.
I responsabili delle ditte che offrono questo servizio descrivono una clientela meno eccentrica di quello che si potrebbe immaginare: chi si rivolge a loro è gente normale, che non sopporta l’idea della separazione definitiva, e che cerca nella preservazione dell’animale un aiuto per superare il dolore. Per alcuni di essi, l’animale era l’unica compagnia di una vita solitaria. Desiderano avere ancora una presenza fisica concreta, con cui relazionarsi e illudersi di interagire.
Abbiamo parlato spesso dell’occultamento della morte operato nel tempo dalle società occidentali; il progressivo allontanarsi dell’esperienza del cadavere dalle nostre vite ha reso sempre più complicata l’elaborazione del lutto, e questo si riflette anche sulla morte degli animali da compagnia, dato che l’amore che portiamo verso di loro talvolta rende la separazione altrettanto traumatica che se si trattasse di una persona cara.
Così, se l’immagine di qualcuno che coccola un animale morto ci dovesse apparire patetica o peggio ancora ridicola, gli psicologi ricordano che gli esseri umani proiettano abitualmente attributi umani ad oggetti inanimati; e per quanto riguarda la morte, ovviamente, tutti noi abbiamo reso visita ad una tomba, e magari rivolto parole intime al defunto, come se potesse sentirci… come se fosse ancora vivo. E viene da domandarsi se questo “come se”, il desiderio e la capacità umana di rifiutare la realtà così com’è per costruirne una simbolica, non sia forse alla base di tutte le nostre grandezze, e di tutte le nostre miserie.
